In Germania le chiese cattolica, protestante e vecchio-cattolica e la comunità ebraica sono “associazioni di diritto pubblico”. E’ tuttora in vigore il concordato stipulato nel 1933 fra Hitler e la Santa Sede. Per le chiese di cui sopra lo stato si incarica della riscossione della “tassa del culto“, all’occorrenza anche in modo forzato mediante procedura giudiziaria.
Le risorse della Chiesa cattolica provengono per circa l’80% dalla tassa del culto, per circa il 10% da proventi dei beni patrimoniali, per circa il 10% da sovvezioni pubbliche e per circa 1% da collette.
BERLINO – Chi non paga i contributi alla Chiesa, non crede. Nel Paese natale di papa Ratzinger i vescovi si inventano la “scomunica light”: se i fedeli non pagano la tassa annuale (l’equivalente del nostro 8 per mille) non possono far parte della comunità religiosa e di conseguenza non potranno ricevere sacramenti né confessarsi. Nemmeno il funerale è concesso.
Come a dire ministri di Dio sì, ma solo se ci stipendiate. La procedura introdotta dalla Conferenza episcopale tedesca ha incassato l’ok del Vaticano. Una dura risposta al grande esodo di fedeli in Germania. Dal 1990 in poi sono in media 100 mila i fedeli che ogni anno lasciano ufficialmente la chiesa per evitare di pagare l’imposta. Il record è stato toccato nel 2011 quando ne usciròno 126 mila.
La controversa Kirchensteuer è una tassa che finisce direttamente nelle casse dell’anagrafe tributaria: il contribuente deve indicare se appartiene alla confessione cattolica o a quella protestante, di conseguenza gli sarà applicata una tassa con aliquote che variano dal 3% all’8% del reddito Irpef.
L’avallo di Roma giunge dopo anni di insistenze da parte dei vescovi tedeschi. A lungo il Vaticano aveva fatto valere le sue obiezioni: nel 2006 aveva chiaramente detto che non bastava dichiarare allo Stato tedesco di non essere più cattolici. Ma ora che è cambiata la musica non si capisce come mai la Chiesa, che per definizione è universale, scomunichi i fedeli tedeschi che non pagano l’obolo mentre continui a considerare cattolici i tanti Italiani che decidono di destinare il proprio 8 per mille ad altre nobili cause.
ESPERIENZE
1 Settembre 2019 Alba,
LA STORIA
Convincimenti interiori che impattano il frangiflutti della legge ecclesiastica. No, non siamo fra le pieghe di qualche romanzo storico e nemmeno nel caos imperante nel Bel Paese ma nella cattolicissima Baviera di papa Benedetto XVI, per la precisione nel centro propulsore della regione: Monaco, celebre per la birra, il Bayern e – nel nostro caso – l’obbligo di contribuire “in solido” al mantenimento della Römisch-katholische Kirche (denominazione ufficiale della Chiesa cattolica di Baviera) se si è battezzati.
Si parte e si finisce ad Alba, naturalmente. Giorgio è oggi un 36enne nato e cresciuto sotto le torri (battezzato alla Moretta), una laurea in scienze della comunicazione a Siena, specialistica in marketing a Milano. Alcuni anni fa, dopo la conclusione degli studi, la vita lo porta in Germania a lavorare: per farlo affitta un piccolo appartamento. «Caro come il fuoco», precisa la madre Nuccia, : «Si trattava di un contratto di prova di sei mesi».
Avere fede in Germania non è facile per Giorgio
L’albese Giorgio M, protagonista della vicenda di questa pagina, con la moglie tedesca.
Poi, l’esistenza di Giorgio si arricchisce di una compagna, con la quale il giovane inizia a fare sul serio: i due convolano a nozze il 18 agosto 2018. Qui gli antefatti finiscono e inizia la nostra vicenda. Bisogna sapere che in Germania dichiarare il proprio credo religioso impone il pagamento di una tassa mensile relativa ai “servizi” erogati. «Al mio ingresso in terra germanica, spinto dai consigli delle guide e dei forum ho deciso, per non pagare la “gabella”, di barrare lo spazio keine religion (“nessun orientamento religioso”)», spiega il giovane, che a Monaco lavora in un’azienda attiva nel campo del design e della progettazione digitale. «Del resto, agiscono così quasi 100mila persone l’anno nella sola Baviera, spinte a deregistrarsi dal gruppo dei credenti per non pagare. La mia vicenda è differente, perché mi sono “ravveduto” e intendevo rientrare nei ranghi, sostenendo la comunità cattolica».
La storia d’amore dei due giovani va avanti, la coppia pronuncia il “sì” fatidico nell’abbazia di San B.; poi Giorgio cambia lavoro e a gennaio del 2019 trasloca in una casa più grande. Ma ora arriva il bello: «Non appena depositata la denuncia dei redditi, mi è arrivato il conto degli arretrati. È stata una scelta precisa quella di iniziare a pagare dichiarandomi credente, non ero infatti tenuto a farlo: il nostro parroco, un italiano, ha ritenuto sufficiente il fatto che mia moglie fosse cattolica e “in regola”».
Davanti alla prospettiva di sborsare poco meno di 1.800 euro – solo una prima tranche del “dovuto”, il cui computo complessivo si aggira sui cinquemila euro – la famigliola, che da poco ha annunciato ai genitori l’arrivo di un bambino, cerca un’alternativa fattibile.
Giorgio: «Mi affido al dialogo, scrivo al vicario generale, su consiglio del nostro sacerdote che mi prospetta la possibilità di un esonero. Faccio riferimento alle spese del momento, la nuova casa, la volontà di occuparci al meglio del figlio, che nascerà a ottobre. Versare svariate migliaia di euro alla Chiesa di Baviera mi appare al momento un onere eccessivo. Ma la risposta è un duro colpo. Mi sono stati ricordati in modo perentorio i miei doveri fiscali davanti allo Stato».
Arriviamo al 7 giugno 2019, momento in cui Giorgio affida a un post su Facebook la delusione del momento e la decisione presa: uscire dalle liste ufficiali dei credenti, procedura che in tedesco ha il nome di kirchenaustritt (qualcosa di simile allo sbattezzarsi) portata a termine il 14 agosto, sempre su carta bollata all’ufficio comunale. «Deluso dalla gestione meccanica e finanza-centrica di un’istituzione che dovrebbe mostrare molta più comprensione nei confronti degli umili peccatori, ho compiuto il passo definitivo, optando per l’uscita», dice Giorgio. Ma l’epilogo non smorza il suo spirito battagliero: «Non rinuncerò a parlare del mio punto di vista. Continuando con questo “prelievo forzoso”, che vale qualcosa come 6 miliardi di euro l’anno, il capitale umano continuerà a diradarsi».
È l’analisi di un intellettuale ritornato alla fede dopo un itinerario tortuoso, compiuto sulla via dei tre grandi monoteismi mediorientali (cristianesimo, islam ed ebraismo), viaggio del quale Giorgio non fa mistero, iter impegnativo che il proverbiale aut aut rischia di sacrificare sull’altare della semplificazione. «Dall’ateismo del liceo sono ritornato alle radici cristiane della mia famiglia. È sbagliata l’idea dominante del progresso che bolla come medievale ogni forma di conservatorismo: ho iniziato a mettere in dubbio questo tipo di risposte e sono atterrato vicino alle idee che la religione ci ha tramandato nei millenni».
Ora il giovane albese vive nell’incertezza per il futuro: la procedura di uscita dal credo cattolico verrà comunicata agli uffici dell’arcidiocesi di Monaco-Frisinga: «Che cosa accadrà dopo è incerto. Solitamente la Chiesa d’origine viene contattata e questa (la diocesi di Alba) procede a un eventuale sbattezzo», precisa ancora Giorgio. «Per regola sarò escluso dai sacramenti, un punto questo su cui molte figure di rilievo della Chiesa tedesca, fra cui lo stesso papa Ratzinger, hanno manifestato disapprovazione».
Davide G.
Fonte LA CENSURA E ARRIVATA IMMEDIATAMENTE
ALTRE ESPERIENZE
Chi appartiene a una religione deve versare alla sua chiesa l’8% delle sue tasse in Germania, essere credenti costa Per questo gli aderenti calano di 200 mila all’anno
da Berlino Roberto Giardina
Una pastora protestante può sposare un musulmano? Dipende. Nel Sud della Germania, a maggioranza cattolico, no.
Nella Berlino atea e protestante, sì.
Sono le contraddizioni della Germania o, meglio, le differenze. Nonostante quel che si crede, cattolici e protestanti sono quasi alla pari in Germania.
Anzi, negli ultimi tempi della vecchia Repubblica Federale con capitale nella renana Bonn, i fedeli della Chiesa di Roma superarono di poco i luterani. Poi, con la riunificazione, si aggiunsero i 17 milioni di tedeschi della Ddr, in maggioranza protestanti. In fondo, Lutero era nato dalle loro parti.
Un quarto di secolo dopo, i cattolici sono tornati in leggero vantaggio: poco più di 24 milioni, circa il 30%, contro poco meno del 24%.
Bisogna tener presente, tuttavia, che si conteggiano solo quanti fanno realmente parte della comunità. Se si appartiene a una confessione, qualunque sia, si deve versare l’8% di tasse in più. Un peso notevole, e gli ossies, come vengono chiamati gli ex cittadini della scomparsa Germania Est, hanno fatto rapidamente i loro calcoli.
A parte le diversità teologiche, quel che divide le due chiese è lo status di preti e dei loro colleghi pastori: i primi sono chiamati dalla vocazione, la loro è una missione.
Per i luterani è una professione. Si diventa Pfarrer studiando teologia all’università, poi ci si candida a un posto in parrocchia. Lo stipendio non è male, nonostante la crisi, e le uscite dalla Chiesa, per crisi di fede o per risparmiare sulle tasse (circa 200 mila se ne vanno ogni anno, sia cattolici sia protestanti, anche in questo alla pari). È la comunità che elegge e assume il suo Pfarrer e, nel caso, lo può licenziare. Non è una missione a vita: basta citare il caso di Joachim Gauck, ieri pastore e oggi presidente della Repubblica.
E Frau Merkel, come si sa, è figlia di un pastore protestante. Un Pfarrer si può sposare, il prete ovviamente no. Una differenza che crea un grave problema alla Chiesa cattolica. Nel lavoro quotidiano in parrocchia, i pastori sono avvantaggiati perché condividono la vita quotidiana dei loro fedeli. Anzi, nella scelta della loro guida, i parrocchiani, di solito, preferiscono un candidato con moglie e figli. Il partner, uomo o donna che sia, ha una parte attiva nella parrocchia: organizza il Kindergarten, o corsi per le madri, oppure i corsi di danza, e la bocciofila.
Anni fa, prima di scrivere una storia, chiesi alla mia editor tedesca (figlia di un pastore, ex moglie di un pastore), se una donna Pfarrer avrebbe potuto sposare un pizzaiolo italiano. Perché no?, mi rassicurò, purché lui diventi luterano. Non è una regola assoluta, cambia di regione in regione, e con i tempi.
La battaglia di Frau Carmen Hacker è durata tre anni, e alla fine ha vinto. Nel 2011, la Chiesa Evangelica del Württemberg, l’antica Svevia, che è a maggioranza cattolica, le aveva impedito di diventare pastora perché aveva sposato l’uomo che ama, Monir, conosciuto nel 2010 durante una vacanza in Bangladesh. Difficile amore. Monir non ottenne il visto per la Germania, e, racconta, pagando 9 mila euro ottenne invece il visto per l’Italia. «Non proprio dietro l’angolo, ricorda Carmen, ma almeno ci ritrovavamo sullo stesso continente».
Si vedono a Roma, finché il visto scade. Non rimane altra strada che il matrimonio: la futura pastora sposa Monir, che è musulmano. E la Chiesa, per così dire, la «licenzia». «Amo la mia Chiesa e amo Monir, e non voglio rinunciare né alla mia fede, né a mio marito», dice Carmen. Comincia la sua battaglia, finché aiutata dalla deputata verde Katrin Göring-Eckardt, a sua volta sposata con un pastore, trova la via d’uscita: trasferirsi a Berlino. I prussiani sono meno rigidi dei meridionali svevi, e da qualche mese Carmen ha conquistato la sua parrocchia: «Monir viene ad aiutarmi di tanto in tanto, e nessuno si scandalizza, un musulmano può pregare in una chiesa di Lutero, come in una moschea».