Verrà un giorno, e anche presto, in cui i gruppi politici impegnati nella formazione del governo Conte-bis realizzeranno di essere “ostaggio” in Parlamento della minoranza renziana. In cui perfino quei pochi grillini e democratici che in questo progetto “per il bene del Paese” ci credono davvero, capiranno che le loro migliori intenzioni saranno appese al filo della volontà del senatore semplice Matteo Renzi.
E così a nulla servirà che lui, Boschi e Lotti non siano entrati personalmente nell’esecutivo, per citare la principale preoccupazione d’immagine del Movimento 5 Stelle. Perché il loro gioco è proprio quello di starne fuori: e poter staccare la spina in modo apparentemente disinteressato, non appena ne vedranno la convenienza.
Supposizioni? Il solito malcelato anti-renzismo? Basti leggere gli indizi sparsi dallo stesso Renzi nelle decine di dichiarazioni rilasciate in questi giorni, ben condensati nell’intervista al Sole 24 Ore della domenica. Qui, infatti, è esplicita l’Opa che il senatore semplice lancia sul governo giallo-rosso quando, rivolgendosi direttamente al mondo produttivo, dice che “non avete nulla da temere da un governo che nasce per evitare l’aumento dell’Iva, che abbassa lo spread e che riporta l’Italia nell’Europa che conta. Ma sappiate che se qualcuno vi vuole fare male, quel qualcuno non avrà i numeri in Parlamento”.
Già, perché i numeri in Parlamento già di per sé sono risicati, ma soprattutto dipendono dal gruppo parlamentare del Pd, controllato per la maggior parte dall’ex segretario, ex rottamatore.
Perfino Beppe Grillo, che nel suo ultimo video-messaggio esorta il Pd (ma anche Di Maio) a gettare il cuore oltre l’ostacolo, a vedere “l’occasione unica” di un governo per “progettare il mondo” (sic!) invece di “pensare sempre alle poltrone” (in quest’ultima chiosa, sembra azzeccarci), perfino lui dovrà accorgersi che questo avveniristico progetto non potrà stare in piedi senza il beneplacito del premier del Jobs Act, delle banche e della tentata modifica costituzionale.
E che sarà dura, quasi impossibile coniugare il programma economico a 5 Stelle su cui Di Maio e tutto il gruppo dirigente fanno quadrato, il no alle trivelle, il no alle grandi opere, il sì all’acqua pubblica e così via, con le idee e i cavalli di battaglia storici del Pd renziano, di impronta più che liberale.
Il conflitto tra queste due “anime” sarà ancor più forte e problematico di quello cui abbiamo assistito fino a un mese fa tra Movimento 5 Stelle e Lega, dove già era palese l’incompatibilità tra i tanti no di un Movimento massimalista in economia e i tanti sì di un partito che, pur diventato a tutti gli effetti nazionale, nasce e si radica soprattutto nel Nord industriale e produttivo.
Lo stesso, anzi peggio, avverrà nel nascente governo giallo-rosso, in cui a tutti gli irrinunciabili sì in Italia verranno a sommarsi anche i sì in Europa, poiché il Pd, in più rispetto alla Lega, ha il piccolo particolare di essere una forza apertamente europeista.
È possibile che nessuno, nel Movimento 5 Stelle, abbia capito che il vero regista e “burattinaio” del Conte-bis è il tanto odiato Matteo Renzi? Che nessuno, neppure nel Pd, sospetti di essersi consegnato nelle sue mani? Ovviamente no. Eppure, va a tutti bene così, perché il nuovo esecutivo nasce per istinto di sopravvivenza di due gruppi di potere, che altrimenti sarebbero stati spazzati via alle elezioni.
Da una parte, i grillini hanno temuto non soltanto di vedere dimezzata la propria presenza in Parlamento, ma soprattutto di non poter essere nuovamente candidati a causa del limite del doppio mandato (l’invenzione del “mandato zero” a molti non deve essere sembrata una garanzia di rieleggibilità).
Dall’altra, i renziani sarebbero stati fortemente ridimensionati nel caso si fosse andati a elezioni, con Zingaretti autore delle nuove liste di candidati. E ricominciare tutto daccapo e da casa, o dalla Leopolda, non sarebbe stato facile.
Questa congiunzione astrale di interessi personali molto più che politici ha fatto sì che gente che si odiava e si insultava pubblicamente, con tanto di querele, oggi si rispetti e si dica disponibile a fare insieme il bene del Paese. In aggiunta, non essendovi al momento alternative se non quelle elezioni che sancirebbero la definitiva scomparsa degli stessi gruppi di potere, questa congiunzione ha portato tutti ad accettare di buon grado perfino il rischio che Renzi, nel suo ruolo di dominus dietro le quinte del governo, possa un giorno twittare #giuseppestaisereno. Non ovviamente per prendergli il posto, ma per toglierglielo, questo sì.
Eccoli quindi tutti insieme appassionatamente. Grillo che, dopo un anno di silenzio e probabilmente di Maalox, può tornare alla ribalta mediatica con i suoi messaggi para-esoterici e le sue “canonizzazioni laiche” di Conte nel mondo degli Elevati.
Il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, con l’eccezione proprio di Di Maio – l’unico che ha davvero qualcosa da perderci a livello personale in questo governo -, che riesce a prolungare di qualche mese, nelle migliori speranze di qualche anno, la sua presenza nel Palazzo.
Il Partito democratico, che torna nei ministeri e al tavolo rotondo di Palazzo Chigi dopo ben un anno e quattro mesi di opposizione. E infine Matteo Renzi, che fino a un mese fa twittava #senzadime sfottendo l’aperturista a un’intesa coi 5 Stelle Franceschini (“ha pure perso nel suo collegio a Ferrara e dà lezioni”, diceva il fiorentino), e oggi è il principale e compiaciuto artefice di un governo “che nasce per evitare l’aumento dell’Iva, che abbassa lo spread e che riporta l’Italia nell’Europa che conta”.
Verrà un giorno, e anche presto, in cui questo nuovo governo per il bene del Paese cadrà per mano del senatore semplice di Rignano. E sarà un bel giorno per Salvini.
03/09/2019 Fonte
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Non resisteremo a lungo in questa commedia, non ci arrenderemo ad essere nuovamente derubati!!