Mengele fu un mostro e un assassino, ma mostruosa fu anche la medicina di cui era rappresentante. Perché i grandi scienziati del tempo facevano a gara per lavorare con lui. Una nuova biografia del dottor Morte scritta da chi gli ha dato la caccia per anni
di Giulio Meotti 3 Febbraio 2020 alle 14:42
Josef Mengele tra Richard Baer e Rudolf Hoess (foto tratta da Wikipedia)
Un album di fotografie fu spedito al Museo dell’Olocausto di Washington nel 2007 da un anonimo che lo aveva ritrovato in un appartamento di Francoforte. Erano immagini che, per la prima volta, raffiguravano Auschwitz non solo come un centro di sterminio, ma anche come un luogo dove si viveva. L’album era di Karl Höcker, l’aiutante di Richard Baer, ultimo comandante del campo. Tra le 116 fotografie in bianco e nero scattate nel 1944 ve ne erano un certo numero che raffigurano ufficiali delle SS a Solahütte, un sottocampo di Auschwitz a trenta chilometri da Birkenau e che funzionò da rifugio ameno per il personale addetto allo sterminio. Il dottor Josef Mengele, sorridente e rilassato, compare in otto fotografie.
Nell’immaginazione popolare, Mengele è arrivato a personificare la Shoah. Tutti gli altri, da Hitler a Himmler passando per Eichmann, vi presero parte da dietro a una scrivania a Berlino. Mengele lo fece sul campo, o meglio, sulla “rampa” di Auschwitz. Nessuno più di lui incarna la frase di George Steiner secondo cui i nazisti crearono l’inferno sulla terra che per secoli i poeti e pittori europei avevano immaginato e raffigurato. Con una rotazione del pollice, il dottore decideva chi sarebbe vissuto, anche se solo brevemente, e chi sarebbe andato alla camera a gas. Ci si domanda chi fosse quel medico con una laurea in medicina e una in antropologia, un uomo di grande cultura, nato in una famiglia cattolica, entrato molto tardi nelle SS, che prese parte alla selezione di centinaia di migliaia di esseri umani e che, quando nel 1944 scoppiò il tifo nel “campo ceco” di Auschwitz, mandò alla morte col gas tutti i detenuti, risolvendo così il problema.
Non era un “bel Sigfrido” e non portava guanti bianchi. “Si vedeva come un uomo di scienza”, scrive Marwell, che gli diede la caccia. Il più famoso genetista tedesco Verschuer scrisse: “La tesi del dottor Mengele è un’opera accademica originale”
David Marwell, ex direttore del Museo del patrimonio ebraico di New York, è dal 1985 che pensa a Mengele, da quando lavorava all’ufficio che si occupava dei criminali nazisti al Dipartimento di stato e che gli diede la caccia fino in Brasile, dove Mengele è morto nel 1979. Adesso, in un libro per W. W. Norton & Company e in uscita questa settimana, “Mengele: Unmasking the Angel of Death”, Marwell ci racconta non il mostro mitologico, ma lo scienziato.
“Ciò che si sa del tempo di Mengele ad Auschwitz è più cliché che verità”, scrive Marwell. “La reputazione fuori misura come mostro medico è inversamente proporzionale a ciò che si sa su quello che ha effettivamente fatto”. No, Mengele non era un “bel Sigfrido”, ma basso e scuro, con un goffo spazio tra i denti anteriori. No, non indossava guanti bianchi e monocolo che Elie Wiesel ricordava. No, non canticchiava Wagner mentre mandava a morte donne e bambini. No, non era un uomo di “insondabile perversità”. Mengele si considerava un serio uomo di scienza, che scandagliava i misteri dell’eredità per perfezionare il Volk. Auschwitz era il suo laboratorio, gli offriva soggetti infiniti e lo aveva liberato da fastidiose inibizioni etiche. “Dove più di un milione di persone hanno perso la vita, Mengele ha trovato la sua”. E’ questa la storia terribile raccontata da Marwell.
E’ la storia di un ricercatore che lavorava al Kaiser Wilhelm Institute per l’Antropologia, il miglior istituto scientifico in Europa all’epoca. Racconta Marwell che l’apprendistato del dottore ebbe inizio a lezione dell’etologo austriaco Karl von Frisch, che verrà insignito del Nobel per la Medicina nel 1973. Allora era il capo dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Monaco ed era diventato famoso per il suo studio delle api. “Era qualcosa che non avevo mai provato prima in vita mia, Von Frisch accese la mia ‘fiamma zoologica’, ma in modo così duraturo che ho tenuto questo fuoco per tutta la vita e ne sono stato troppo spesso riscaldato”, scriverà Mengele. I suoi insegnanti erano fra i maggiori ricercatori del tempo, da Nikolaus von Jagic, capo della clinica medica dell’Università di Vienna, a Wolfgang Denk, capo della clinica chirurgica della stessa. Mengele studiò anche con Leopold Arzt, capo della clinica di dermatologia e malattie veneree, che venne cacciato dai nazisti nel 1939 per essersi opposto all’Anchluss. Poi a Monaco, dove assieme a Medicina, Mengele sceglie Antropologia sotto la guida del famoso Theodor Mollison, che divenne il suo “Doktorvater”, supervisore. Poi l’Università di Francoforte, dove insegnava il mentore del dottore nazista, Otmar von Verschuer, il più famoso genetista del tempo.
Era la “Oxford tedesca”, un paradiso di conoscenza e ricerca. “A settembre 1937, Mengele aveva soddisfatto tutti i requisiti per la sua laurea in Medicina e aveva ricevuto la sua nomina come medico. Mengele ha iniziato il suo secondo dottorato, non ne aveva bisogno per esercitare, ma era necessario per una carriera accademica…”. Mengele ambiva alla docenza universitaria. Per la sua tesi sull’ereditarietà delle malformazioni al labbro, Mengele identificò 110 bambini che erano stati curati per una palatoschisi dal dipartimento chirurgico della clinica universitaria di Francoforte tra il 1925 e il 1935. Da questi ha ridotto il numero a diciassette, selezionando quelli che vivevano a Francoforte e che avevano sia il labbro leporino sia la palatoschisi. Parlando con i genitori di questi bambini, Mengele ricostruì la genealogia delle diciassette famiglie. E presentò e difese la sua tesi nell’estate del 1938. Nella sua valutazione ufficiale, Verschuer scrisse: “La tesi del dottor Mengele è un’opera accademica originale, eseguita in modo indipendente, che ha richiesto non solo grande tenacia per superare tutti gli ostacoli ma anche acute capacità di osservazione e cura nell’esecuzione degli esami”. Il lavoro di Mengele sarebbe stato pubblicato un anno dopo in un rispettato giornale, Zeitschrift für Menschliche Vererbungs und Konstitutionslehre (la rivista degli studi sull’ereditarietà umana) e avrebbe ricevuto la dovuta attenzione nel Handbuch der Erbbiologie des Menschen (Manuale di biologia genetica umana), che lo ha descritto come “un progresso nello studio della patologia genetica del labbro leporino”.
Una fotografia degli scienziati riuniti all’università rivela un giovane Mengele in posa sui gradini con i giganti della scienza: Eugen Fischer, Otmar von Verschuer, Alfred Ploetz e Theodor Mollison. Era nato un promettente scienziato. Verschuer scrisse la sua lettera di raccomandazione: “Dopo la mia esperienza degli ultimi due anni, sono diventato convinto che il dottor Mengele sia adatto per una carriera accademica”. La guerra e la Shoah ne complicano il percorso.
Mengele è assegnato ad Auschwitz. “Se fosse stato possibile osservarlo nella sua mente, immagino che rivelerebbe un’enorme soddisfazione nel percorso intrapreso dalla sua vita” scrive Marwell. “In giovane età – a soli trentatré anni – Mengele si trovò sulla cuspide del grande successo. Il suo studio, la preparazione e il duro lavoro lo avevano portato in un posto senza precedenti nella ricerca della scienza che era la sua passione consumante. Nessuno nella storia aveva avuto accesso alla materia prima che gli stava di fronte o era stato così liberato dalle restrizioni che domavano l’ambizione e limitavano il progresso scientifico”. Ad Auschwitz Mengele andò di propria iniziativa o su invito di Verschuer?
Alla fine della guerra chi lo aveva aiutato al Kaiser Wilhelm (da cui uscirono venti Nobel) distrusse ogni traccia della ricerca di Mengele. “Usò il tempo ad Auschwitz per prepararsi alla carriera accademica. Nessuno prima di lui aveva avuto davanti tanto materiale umano”
Il figlio di Mengele, Rolf, a un intervistatore nel 1985 disse che sua madre gli aveva detto che Verschuer aveva “motivato” Mengele ad andare ad Auschwitz e che gli aveva chiesto di farlo. Hans Sedlmeier, dirigente della società Mengele di Günzburg e amico di famiglia, ha riferito ai pubblici ministeri tedeschi nel 1984 che Mengele aveva affermato che Verschuer contribuì a organizzarne il trasferimento. “Mengele stava progettando di usare la sua ricerca di Auschwitz come base per la sua Habilitationschrift, la tesi post-dottorato, che era un prerequisito per una carriera accademica” scrive Marwell. Ad Auschwitz, Mengele avrebbe costruito un vero e proprio centro di ricerca, arruolando anche fra i prigionieri scienziati, come il pediatra di fama mondiale Berthold Epstein. Mengele continuò la sua ricerca sul labbro leporino e la nascita dei gemelli. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel giugno del 1939, Otmar von Verschuer aveva tenuto una conferenza alla Royal Society di Londra, intitolata “Ricerca sui gemelli dal tempo di Galton ai giorni nostri”. Il mentore di Mengele era molto interessato a quanto avveniva ad Auschwitz. Indubbio è che von Verschuer, autorità mondiale sui gemelli, ricevette da Mengele moltissimi “preparati umani”, dagli occhi ai campioni di sangue di persone di diversa origine razziale.
Hans Münch, medico nel campo, ha ricordato che “Mengele affermò che non utilizzare le possibilità offerte da Auschwitz sarebbe ‘un peccato’ e ‘un crimine irresponsabile nei confronti della scienza”. Secondo Horst Fischer, un altro medico di Auschwitz, Mengele parlava spesso “con entusiasmo” del suo lavoro scientifico e del “materiale” che aveva davanti, descrivendo “un’opportunità unica che non sarebbe mai stata più offerta”. Un altro antropologo detenuto ad Auschwitz e che Mengele reclutò nel suo laboratorio, Erzsebet Fleischmann, dirà che il lavoro di Mengele, seppur moralmente aberrante, era “scientificamente legittimo”. Lo storico Massin scrive: “A volte Mengele è rappresentato come l’incarnazione del medico pseudoscientifico delle SS, che, in completo isolamento, esegue i suoi esperimenti astrusi. In effetti, Mengele era strettamente legato alla comunità scientifica”.
Il dottore per tutto il tempo ad Auschwitz mantenne un legame molto stretto con i suoi superiori accademici. “La prima cosa che ogni coppia di gemelli ad Auschwitz ha dovuto fare è compilare un questionario dettagliato dell’Istituto Kaiser Wilhelm”, ha ricordato il detenuto Zvi Spiegel. Alla fine del 1943, Mengele, fu invitato privatamente dai Verschuer per una cena. “Che succede ad Auschwitz?”, chiese la moglie del professore. “Non posso parlarne, è orribile”, rispose Mengele. Quando i sovietici si avvicinarono a Berlino nella primavera del 1945, il professor Verschuer diede l’ordine di distruggere tutti i “file segreti”. Non rimase nulla della ricerca svolta da Mengele ad Auschwitz. Più tardi, quando Verschuer assunse la cattedra di Genetica umana a Münster nella neonata Repubblica Federale tedesca, non riuscì a ricordare nulla. “Auschwitz? Non so”. Sospetti sono sarebbero stati sollevati anche sui legami di Mengele con Adolf Butenandt (1903-95), uno dei pionieri della ricerca genetica europea, premio Nobel e uno degli studiosi più influenti del suo tempo.
La trasformazione di Mengele in un “angelo della morte” aveva la funzione di sollievo. La vera scienza doveva essere rimasta pura, soltanto dei pazzi sadici e criminali si compromisero col nazismo. Ma dal Kaiser Wilhelm in quegli anni non uscì soltanto il medico di Auschwitz, ma anche venti Premi Nobel. Fu un ricercatore di grande talento e fu aiutato dai migliori scienziati del tempo. Ma per attenuare l’orrore di tanto “progresso” abbiamo dovuto trasformare il dottor Mengele in un dottor Mabuse.
l‘Angelo della Morte, fu il coordinatore di migliaia di esperimenti nel campo di concentramento di Auschwitz
Josef Mengele attendeva i nuovi arrivati al campo tra i gendarmi dell’esercito nazista. Il suo camice bianco lo distingueva sin da subito dal nero delle divise delle SS tedesche, tanto che gli fu attribuito l’appellativo di Angelo della Morte. L’aspetto curato e l’atteggiamento sobrio non oscuravano la sua fama di sperimentatore spietato. Furono migliaia, in effetti, i bambini, gli uomini e le donne con anomalie fisiche e, soprattutto, le coppie di gemelli selezionati da Mengele come cavie per i suoi atroci esperimenti.
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Mengele ricevette una medaglia al valore
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale Josef Mengele si offre volontario per prendere parte alla causa tedesca. Viene, così, inviato in Polonia, all’Ufficio di Poznan per la Razza e gli Insediamenti Umani (istituto che aveva lo scopo di condurre ricerche sulla distinzione delle razze e determinare l’idoneità di un certo numero di donne a diventare mogli di membri delle SS). Rimane nella città polacca fino al 1942, quando viene ricollocato sul fronte russo, presso il corpo sanitario della divisione Waffen SS Wiking. In questa occasione rimane ferito e, tornato a Berlino, riceve la croce di ferro di prima classe, prestigiosa decorazione militare tedesca.
Gli esperimenti di Mengele nel campo di concentramento di Auschwitz
Ciò che più di tutti impressionava i collaboratori di Mengele era la sua incredibile lucidità e la completa mancanza di empatia nei confronti delle sue vittime. I suoi esperimenti avevano l’intento di creare in laboratorio bambini di razza ariana. Alcune delle sue terribili procedure consistevano in iniezioni oculari di blu metilene nel tentativo (fallimentare) di rendere azzurro l’iride delle proprie cavie, amputazioni o iniezioni irritanti allo scopo di sterilizzare i suoi soggetti, e trasfusioni di sangue. Quando i soggetti perdevano la vita o venivano volontariamente uccisi perché considerati non più utili, subivano un’autopsia meticolosa, nella quale ogni organo veniva catalogato e studiato con attenzione.
La vita al Blocco 10, la baracca degli esperimenti medici di Mengele
Le cavie di Mengele ad Auschwitz venivano recluse nel blocco 10. Era in questo luogo, inaccessibile agli sguardi esterni, che i prigionieri selezionati dal Dottor Morte venivano sottoposti a terribili esperimenti. Per prima cosa, le cavie venivano marchiate con una cifra che li distingueva da tutti gli altri reclusi al campo. Venivano, poi, spogliate e misurate alla testa e agli arti, sottoposti a una scansione completa delle ossa e, solo in seguito, completamente rasati. Josef Mengele trattava le sue cavie come veri e propri oggetti da esperimento, perciò era necessario che si preservassero sufficientemente in salute. Questo era l’unico motivo per cui alle cavie di Mengele veniva somministrato del cibo migliore rispetto agli altri prigionieri al campo.
I gemelli di Mengele
A seguito della famosa esclamazione «Zwillinge heraus!» -«fuori i gemelli!»-, Mengele ha selezionato al campo di Auschwitz più di 700 coppie di gemelli omozogoti, perlopiù bambini, su cui ha condotto gli esperimenti più atroci. Si interessava soprattutto dei modi in cui uno dei due codici genetici, si potesse differenziare dall’altro, subendo modificazioni ambientali. L’intento ultimo, ovviamente oggi riconosciuto del tutto non scientifico, era quello di produrre in laboratorio il codice genetico della razza ariana.
La fuga di Mengele in Sudamerica
L’Angelo della Morte si annovera tra le personalità di spicco del regime nazista riuscite a sfuggire a qualsiasi tipo di processo. Quando la sconfitta della Germania era ormai imminente, si dirige a Genova, per poi imbarcarsi alla volta dell’Argentina. Il suo ultimo spostamento individuato è il trasferimento in Brasile, avvenuto immediatamente dopo la morte di Eichman, nel 1962. Da qui, le sue tracce divengono tanto sfocate da essere quasi non individuabili. Nel 1992, però, il famigerato Angelo della Morte viene riconosciuto nel corpo di un uomo di 67 anni, deceduto nel 1979, sepolto in un cimitero nei pressi di San Paolo.
Il mistero della cittadina di Cândido Godói, frequentata da Mengele negli anni 60
Cândido Godói è un paesino rurale di circa 6000 abitanti, situato nello stato del Rio Grande do Sul. La caratteristica che lo ha reso famoso nel mondo è la presenza di un numero molto elevato di parti gemellari. Le testimonianze da parte di alcuni dei residenti delle frequenti visite di Mengele a partire dalla metà degli anni 60 hanno dato adito a diverse suggestioni sul proseguimento degli esperimenti dell’Angelo della Morte in Brasile.
I romanzi dedicati a Mengele
La personalità agghiacciante del medico di Auschwitz e l’epilogo della sua vita avvolto nel mistero sono da tempo motivo di interesse per un vasto pubblico e terreno fertile per molti scrittori. La scomparsa di Josef Mengele di Olivier Guez, L’angelo della morte in Sudamerica di Jorge Camarasa, Mengele di Gerald L. Posner e John Ware sono alcuni delle opere dedicate alla sua figura.
10) Mengele soggetto cinematografico
Nichts als die Wahrheit – Nient’ altro che la verità, girato da Roland Suso Richter, fu il primo film a sdoganare la figura dell’Angelo della Morte quale soggetto cinematografico. A partire da questo momento, sono stati molti i lungometraggi dedicati a Mengele. Tra i tanti, segnaliamo My father di Egidio Eronico, girato nel 2002 e distribuito in Italia del 2006, che ipotizza l’incontro tra Mengele e suo figlio, e The german doctor, del 2013. In questo caso troviamo immaginato il soggiorno del dottore di Auschwitz in una famiglia argentina, ignara della sua vera identità.